Giuseppe Prode su Broken Landscape

È uno dei fotogiornalisti più affermati oggi. Con il suo lavoro registra notizie, fatti, avvenimenti in rapida successione, in ogni angolo della terra. Israele e Palestina, Libano, Liberia, Angola, Sudan-Darfur, Uganda, Iraq, lo Tsnunami nel sud est asiatico, l’uragano Kathrina negli Stati del sud degli Stati Uniti, il carcere di Guantanamo, la morte di Giovanni Paolo II, il terremoto in Pakistan, l’Afghanistan.
Osservare e informare, in un tempo in cui “la notizia” ci avvolge 24 ore su 24, e fa sembrare vecchi avvenimenti accaduti da poche ore. E’ la follia del quotidiano che viviamo, correre sempre più veloce, non assimilare quasi nulla, assuefazione passiva. Con la fotografia non dovrebbe essere così, no: questa ci obbliga a fermarci e a riflettere, a dare dei contorni, a circostanziare fatti, storie di vita vissuta, che via via emergono prepotenti. Un gran numero di fotografie selezionate in questa mostra raccontano guerre, malattie, lutti, avendo come protagonisti involontari le persone. Non si può non rimanere colpiti da devastazioni simili dell’anima e della carne.
Virginia Woolf nel 1938 pubblicò Le tre ghinee, e a tal proposito scrisse: “..non soffrire a causa di queste immagini, non indietreggiare inorriditi dinanzi a esse, non sforzarsi di abolire ciò che provoca una simile devastazione, una simile carneficina – queste sarebbero in termini morali, le reazioni di un mostro..”. Erano considerazioni scritte a margine di un dibattito sulla guerra di Spagna, ma che restano attuali.
Lo slogan pubblicitario di Paris Match alla sua prima uscita nel 1949 era “il peso delle parole, lo shock delle foto”, le fotografie venivano pubblicate nei giornali per suscitare reazioni profonde nei lettori. Oggi tutto sembra normale. Provate ad ascoltare o a leggere i contributi dei vari inviati dal fronte Iracheno per esempio: sembrano resoconti da ragionieri, i conteggi – atroci – delle vittime civili e non, sono note che apprendiamo magari con una mezza smorfia, immediatamente sedata da altre “good news”.
No, non siamo tutti dei mostri. Credo ancora alla maieutica della fotografia, alla capacità di sedimentazione che questa Arte ha. Credo anche che il lavoro di Paolo Pellegrin e di molti suoi colleghi non si esaurisca in un mero attimo contemplativo, per noi.

Giuseppe Prode